14/12/2022
Non sempre i chiamati all’eredità intendono accettare.
Pensiamo, ad esempio, al caso in cui un soggetto sia a conoscenza dell’esistenza di ingenti debiti contratti dal defunto in vita.
Per tali ipotesi, l’ordinamento riconosce al chiamato la possibilità di rinunciare all’eredità, con dichiarazione ricevuta
- da un Notaio,
- o dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione,
e inserita nel Registro delle successioni conservato nello stesso Tribunale.
Evidentemente, i costi da sostenere per la rinuncia variano a seconda che si proceda ad effettuare la dichiarazione presso un Notaio o presso la Cancelleria del Tribunale.
Nel primo caso, da un lato si ha una tutela maggiore, potendosi avvalere della consulenza del professionista; dall’altro, sarà necessario pagare la parcella del Notaio oltre alle imposte previste per la rinuncia.
Nel secondo caso, gli importi da versare sono:
- imposta di registro (euro 200,00);
- imposta di bollo e diritti di copia.
La rinuncia è un negozio solenne e, come l’accettazione, puro: conseguentemente
- non può essere sottoposta a condizione (non si può dichiarare “rinuncio all’eredità a condizione che Tizio venda a Caio la sua macchina”);
- non può prevedere alcun termine (non si può dichiarare “rinuncio all’eredità fino alla fine del 2030”);
- non può essere parziale (non si può dichiarare “accetto la villa di Tizio, ma rinuncio all’eredità limitatamente alla sua macchina”).
In caso contrario, la dichiarazione è nulla (ossia non produce nessun effetto).
Sotto altro profilo, se la rinuncia viene fatta dietro corrispettivo o a favore di solo alcuni degli altri soggetti chiamati all’eredità, si produce l’effetto contrario: l’accettazione dell’eredità.
Vediamo qualche esempio.
Tizio e Caio sono chiamati all’eredità di Mevio. Se Tizio dichiara di rinunciare all’eredità di Mevio previo pagamento di 1.000,00 euro da parte di Caio, non solo non tale dichiarazione non ha valore di rinuncia, ma Tizio si considera accettante l’eredità.
Ed ancora. Tizio, Caio e Sempronio sono chiamati all’eredità di Mevio. Se Tizio dichiara di rinunciare all’eredità di Mevio, ma solamente a favore di Caio e non di Sempronio, anche in questo caso tale dichiarazione non ha valore di rinuncia ed anzi vale come accettazione di eredità.
Entro quando si può rinunciare all’eredità?
A differenza dell’accettazione, per la rinuncia non è fissato un termine e pertanto potrà essere validamente compiuta nello stesso termine stabilito per l’accettazione (dieci anni dall’apertura della successione), sino a quando non sia prescritto il diritto di accettare l’eredità.
La dichiarazione di rinuncia non può essere fatta prima dell’apertura della successione e neppure dopo l’accettazione.
La rinuncia ha efficacia retroattiva: si considera il rinunciante come se non fosse mai stato chiamato all’eredità. Tuttavia, ai sensi dell’art. 521, co. 2, c.c. il rinunciante può ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile, salve le disposizioni degli artt. 551 – 552 c.c..
Va specificato che al ricorrere di determinate circostanze, il chiamato all’eredità perde la facoltà di rinuncia:
- in seguito alla sottrazione di beni ereditari, ai sensi dell’art. 527 c.c.;
- decorsi tre mesi dall’apertura della successione, in caso il chiamato sia nel possesso di beni ereditari, ai sensi dell’art. 485 c.c.;
- in seguito al decorso del termine di prescrizione decennale del diritto di accettare, ai sensi dell’art. 480 c.c.;
- in seguito alla fissazione di un termine ex art. 481 c.c., scaduto il quale il chiamato non proceda all’accettazione;
- in seguito alla mancata accettazione dell’eredità entro i quaranta giorni successivi all’inventario, ai sensi dell’art. 487, co. 3, c.c..
Una volta che la rinuncia sia stata fatta, cosa accade all’eredità?
È necessario distinguere due ipotesi:
A. in caso di successione legittima, se vi sono altri coeredi legittimi, la parte di colui che rinuncia viene suddivisa equamente fra questi coeredi, salvo il diritto di rappresentazione, che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente anche nel caso in cui quest’ultimo non voglia accettare l’eredità; se invece non vi sono altri coeredi legittimi, l'eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso in cui egli mancasse;
B. in caso di successione testamentaria, se vi sono altri coeredi testamentari, la parte di colui che rinuncia viene suddivisa equamente fra questi coeredi, a meno che lo stesso defunto non abbia disposto una sostituzione; se invece non vi sono altri coeredi testamentari, l’eredità si devolve agli eredi legittimi.
Va precisato che laddove vi sia un soggetto minore o incapace, per rinunciare è necessario richiedere l’autorizzazione al Giudice Tutelare.
La rinuncia all’eredità può essere impugnata: sia da parte dei creditori, ai sensi dell’art. 524 c.c., sia da parte dello stesso rinunciante, ai sensi dell’art. 526 c.c..
Nel primo caso, i creditori del rinunciante possono farsi autorizzare dal Tribunale ad accettare l’eredità in nome e luogo del loro debitore, al fine di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Questo diritto dei creditori si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data della dichiarazione di rinuncia.
Nel secondo caso, il rinunciante può impugnare la propria rinuncia quando è l’effetto di violenza (ad es.: perché estorta con minaccia di un male ingiusto) o di dolo (ossia di inganno), a prescindere da chi sia il colpevole, nel termine di cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il raggiro.
È possibile revocare la rinuncia?
Si. L’art. 525 c.c. consente, a certe condizioni, di ritrattare la rinuncia con la revoca della stessa: se non è decorso il termine di prescrizione, il rinunciante ha diritto di revocare la rinuncia effettuata, a patto che altro chiamato -a seguito della sua rinuncia- abbia a propria volta accettato l’eredità